Ambiente

Quali sono e come possiamo combattere le cause dello smog in Pianura Padana?

Allevamenti intensivi, riscaldamento domestico e traffico. Se dal punto di vista morfologico poco possiamo fare, ci sono settori altamente impattanti per cui secondo le principali associazioni ambientaliste è necessaria una “rivoluzione”
Credit: Jan Koetsier  

Tempo di lettura 6 min lettura
21 febbraio 2024 Aggiornato alle 13:00

In questi giorni di “cappa” e alti livelli di smog nella Pianura Padana l’inquinamento è tornato al centro delle cronache dei giornali e della preoccupazione dei cittadini. Città lombarde, piemontesi ed emiliane hanno toccato dei picchi di Pm 10 e Pm 2.5 e classifiche di vario tipo, seppur non sempre attendibili, hanno inserito Milano fra le metropoli più inquinate al mondo.

Fra poche ore su quasi tutta la Pianura è attesa una perturbazione che secondo gli esperti porterà piogge e venti tali da “ripulire” l’atmosfera, facendoci probabilmente dimenticare delle mappe “rosse” di questi giorni e dello smog che colpisce direttamente i nostri polmoni.

Il problema però rimane: cos’è che causa gli elevati livelli di inquinamento di quest’area d’Italia? Come e dove bisognerebbe intervenire?

Domande che non possiamo continuare a evitare se vogliamo trovare una risposta a quelle 80.000 morti premature che, secondo le stime della Società Italiana di Medicina Ambientale, sono legate in Italia ogni anno allo smog, tanto da piazzare per mortalità il nostro Paese ai primi posti in Europa.

Dal punto di vista del territorio, poco si può fare: la Pianura Padana resta un bacino con caratteristiche precise, è protetto da Alpi e Appennini, ha un unico sfogo sul mare sull’Adriatico e non gode del ricircolo d’aria delle correnti che provengono da sud e sud-ovest.

Anche per questo nei periodi invernali - che oggi tra anticicloni africani sempre più presenti ed effetti della crisi del clima sperimentano temperature ben più elevate - tra inversione termica e differenza di temperature al suolo in Pianura Padana molti inquinanti, soprattutto il particolato, rimangono “intrappolati” in una specie di stanza con soffitto.

Rispetto a cinquant’anni fa la qualità dell’aria è però migliorata, sia per le politiche legate al traffico veicolare, ma soprattutto perché abbiamo migliorato i sistemi di riscaldamento, non più a carbone.

Così come tra progetti di piantumazione, maggiori conoscenze scientifiche e tecnologie, ci sono stati grossi passi avanti nel tentare di ripulire l’aria del bacino padano.

In certi giorni però, come quelli appena sperimentati e influenzati da presenza di anticicloni, i picchi di smog tornano a farsi sentire, valori che risultano alti anche per via delle nuove direttive europee, quelle che adottano limiti sempre più stringenti, indicati dall’Oms, e lo fanno proprio nel tentativo di tutelarci.

L’unica soluzione per poter realmente abbassare questi livelli di emissioni, sarebbe quella di diminuire drasticamente le emissioni. Già, ma quali? Si insiste molto sul traffico veicolare: dati del 2018, citati da Greenpeace, ci dicono che è responsabile di circa il 14% dello smog.

Le auto inquinano, è ovvio, ma rispetto a un passato di motori a sola combustione e di pochi limiti alla circolazione, i nuovi blocchi (come le restrizioni degli ultimi giorni in Lombardia) possono aiutare, seppur poco, a dare un po’ di sollievo.

Ci sono però altri due fattori che messi insieme rappresentano quasi il 54% delle fonti inquinanti e di cui poco si parla: gli allevamenti intensivi e i riscaldamenti domestici.

Nel territorio padano vive quasi il 20% di tutta la popolazione italiana: case, quelle del nord, dove i sistemi di riscaldamento hanno un impatto importante anche a livello di Pm 2.5.

Le combustioni legate alle biomasse, dal legno al pellet, incidono eccome, e anche se si sono fatti passi giganteschi in avanti rispetto ai sistemi a carbone, sono ancora poche in media le abitazioni che utilizzano impianti fotovoltaici o poco impattanti.

Alle emissioni legate alle case (36,9%) va poi aggiunto il discorso allevamenti intensivi che impattano secondo uno studio Ispra relativo al 2018 per ben il 16.6% (l’industria per dire è al 10%).

Una delle principali cause di formazione di Pm 2.5 per esempio è l’ammoniaca prodotta dagli allevamenti intensivi.

Eppure finora, ricorda Greenpeace, non è stata prevista una vera e propria limitazione forte (sì, ci sono alcuni periodi di restrizioni) “per l’attività che maggiormente contribuisce all’aumento del particolato sottile, ovvero lo spandimento di liquami zootecnici in tutti i campi lombardi”.

“Gli allevamenti intensivi, insieme al riscaldamento, sono tra i principali responsabili dell’aumento dei livelli di inquinamento da Pm 2,5”, affermano da Greenpeace.

Un impatto che vale sia per la Lombardia, sia per altre aree del bacino padano, dal Piemonte sino all’Emilia o il Veneto, come ricorda anche l’ultimo report Mal’aria di Legambiente che evidenzia come delle 18 città su 98 hanno superato i limiti giornalieri di Pm 10, ben 16 si trovano proprio nel bacino padano.

«Da anni denunciamo l’emergenza cronica dell’inquinamento atmosferico che soffoca la nostra penisola e che trova, soprattutto in Pianura Padana, la sua area più vulnerabile. Qui a pesare è anche l’effetto degli allevamenti intensivi e dell’agricoltura – ha spiegato il direttore generale di Legambiente Giorgio Zampetti – Chiediamo che si i introduca una vera e propria rivoluzione urbana con misure strutturali e integrate che abbiano al centro una mobilità sempre più sostenibile, il trasporto pubblico locale che deve essere maggiormente incentivato, e prevedendo al tempo stesso azioni concrete per contrastare anche le altre fonti inquinanti come riscaldamento e agricoltura. Non si perda altro tempo».

Oltre a impianti di riscaldamento, zootecnia e agricoltura, traffico (come quello dei Tir e dei vari mezzi che secondo un recente rapporto del Mit stanno tornando ben oltre i livelli pre-pandemia, anche di un +23%) c’è poi ovviamente il contributo di tutte quelle emissioni climalteranti che andando a incidere sul surriscaldamento globale comportano maggiori temperature e, di conseguenza, un impatto peggiore dello smog che si accumula in Pianura.

Per poter porre rimedio - soprattutto in un bacino dove vive un quinto di tutta l’Italia - a condizioni di aria irrespirabili e inquinamento impattante per la salute, secondo associazioni come Wwf bisogna dunque “cambiare stili di vita, nei trasporti, nei riscaldamenti, in agricoltura. E dobbiamo cominciare da subito, in modo radicale. È giunto il momento di avviare finalmente una seria transizione ecologica ed energetica che, tenendo conto delle molteplici evidenze scientifiche, ponga al primo posto la salute dell’ambiente e delle persone, aspetti profondamente correlati e indispensabili anche perché vi possa essere un reale beneficio sociale ed economico”.

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